TROFEO KIMA L’UNIVERSITA’ DELLO SKYRUNNING

Testo di Dario Pedrotti

Scrivere del Kima è inutile, perché nessuno capirà mai cosa sia il Kima, leggendone. Del resto anche correre quei 52 km con 4.200 metri di dislivello, seguendo in gran parte i segnali bianchi e rossi del Sentiero Roma, spesso non è sufficiente a capire cosa sia il Kima.

Che poi, chiamarlo “sentiero” è decisamente un eufemismo, dato che in larga parte si tratta di una vaga idea di tracciato fra pietre di ogni dimensione. E anche i “segnali bianchi e rossi” in larga parte sono quasi solo un ricordo.

La chiamano l’università dello skyrunning, ma a laurearsi, prima o poi, ci riescono quasi tutti quelli che davvero lo vogliono. A finire il Kima, no.

Il Trofeo Kima è nato trent’anni fa per ricordare un giovane della Val Masino pieno di voglia di vivere, di energia, e di amore per le montagne e per gli esseri umani. Si chiamava Pierangelo Marchetti, ma per tutti era “Kima”, morì l’8 luglio 1994 durante un intervento di soccorso, e per ricordarlo i suoi amici crearono un’associazione con lo stesso nome, finalizzata non tanto a “fare del bene”, quanto a dare vita ai sogni di Pierangelo, raccogliendo il bagaglio di idee e suggerimenti che lui aveva lasciato. Uno di questi era organizzare una grande corsa sul Sentiero Roma.

Dal 2008 la gara è biennale, ed è un’esperienza di una intensità che non ha eguali in nessuna gara in Italia, e forse nel mondo. Guardando i numerosi filmati disponibili in rete  ci si può fare un’idea di quale tipo di terreno i concorrenti e le concorrenti si trovino ad affrontare e quale maestoso scenario abbiano intorno, ma è impossibile sentire le loro emozioni, anzi, è probabile che si sentano, o si immaginino, quelle sbagliate.

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© Maurizio Torri

A veder salire e scendere quelle lunghe catene che costeggiano strapiombi, ad ammirare uomini e donne muoversi su rocce aguzze, e tutte le forme che il granito possa assumere, si può provare paura o immaginare eccitazione, ma quello che si prova davvero è molto diverso. Quanto diverso non lo puoi capire facilmente neanche correndolo, il Kima, perché quando quelle catene le hai fra le mani e quel granito lo hai sotto i piedi, sei talmente concentrato su un qui ed ora fatto di secondi e centimetri, che non ti rimane neanche lo spazio nel cuore, nell’anima, nel cervello, per “capire”, e spesso neanche per “sentire”. Diventi catena fra le catene, nevaio fra i nevai, roccia fra le rocce. Magari anche raggio di sole fra i raggi di sole e cielo azzurro sotto il cielo azzurro, ma questo solo se sei un’atleta di un altro pianeta.

E tutto questo mentre le tue gambe e quasi ogni altro muscolo del tuo corpo sono impegnati allo spasimo a farti andare avanti quanto più in fretta tu possa permetterti di farlo, per un tempo che può sembrarti infinito, ma non lo è affatto: i cancelli orari del Kima sono famigerati, e se lo meritano. Narrano gli anziani che una volta erano molto peggio, e che quelli di oggi sono troppo soft. Ciò nonostante, contro questi cancelli “soft” ci hanno sbattuto circa il 40% dei partecipanti di una gara che ha dei requisiti di accesso terribilmente selettivi e un parterre di partecipanti di un livello assolutamente straordinario.

Per riuscire a stare dentro i cancelli devi saper correre bene i chilometri di asfalto, i primi 7 di salita severa e gli ultimi 5 di falsopiano in discesa; devi spingere in salita con una costanza implacabile; devi danzare sulle pietre con la leggerezza e la precisione di un ballerino; devi salire e scendere i tratti attrezzati con la confidenza di un rocciatore ma la velocità di uno skyrunner; e devi riuscire a farlo ininterrottamente per tutte le ore necessarie, che sono al massimo 11, e non sono molto meno per la maggior parte degli umani. Per vincere, devi farlo divinamente.

Il Kima è una di quelle esperienze che ti fanno venire voglia di diventare un atleta migliore, non per abbassare il tuo tempo o superare un cancello che ti ha fermato: per cercare di riuscire a sentirti anche tu, almeno per qualche secondo, anche raggio di sole e cielo azzurro.

Se volete capire cosa sia il Kima, dovete correrlo, ma una volta probabilmente non basterà.  

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© Maurizio Torri