testo di Dario Pedrotti
Foto: Organizzazione
Prima di partire per il suo non fortunatissimo viaggio sull’Annapurna Circuit Trek, Francesco Rigodanza aveva pubblicato un paio di articoli in cui sostanzialmente si diceva che il migliore integratore alimentare nelle gare di endurance, è lo zucchero da cucina. Io, che odio i gel perché fanno schifo e perché costano un sacco di soldi, non vedevo l’ora di provare la validità di questa tesi, e ho pensato che, per analogia cromatica, il posto migliore per farlo era la Grande Corsa Bianca. Così mi sono riempito lo zaino di zuccherini (come se il materiale obbligatorio già non pesasse abbastanza) e sono partito.
Assieme a me, alle 9 di mattina di una limpida giornata di fine gennaio, schierati dietro il via posizionato in Val di Cané (graziosa trasversale della Val Camonica) ci sono una settantina di persone, delle quali una decina con gli sci appesi allo zaino e una manciata con una bicicletta sotto il sedere. Davanti, 115 km e circa 4.500 metri di dislivello, ricoperti per un 70% (organizzatori dicunt!) da neve, per lo più battuta, e per il resto, spesso, dal ghiaccio. La temperatura è fin troppo mite, l’entusiasmo è palpabile, e si parte.
Per i primi 20 km c’è soprattutto tanto da correre, gli skialper sbuffano, i ciclisti filano, ma tutti e tutte si divertono parecchio, perché il riflesso del sole sulla neve, con l’azzurro (o l’Adamello) di sfondo, è qualcosa che riempie il cuore. Nell’andata e ritorno sulla Val Grande c’è anche la possibilità di capire quanto indietro si è da quelli più avanti, e spingere di più o mettersi il cuore in pace.
Pace del cuore che in ogni caso dura poco, perché al km 25 inizia la salita verso Malga Salina, ed è bellissima ma esigente, ormai sulla neve conclamata, ma con pendenze che anche gli sci ai piedi aiutano fino ad un certo punto a sopportare. In cima è proprio bello e quando riparti dal check-point ti rimane solo quel vago retrogusto amaro nel vederti spalancare davanti una lunga discesa, ma sentire la simpatica volontaria salutarti con un “ci vediamo questa sera”.
Dopo 5 ore di gara posso iniziare a dire che i miei zuccherini funzionano alla grande, e sono altrettanto soddisfatto della mia “strategia sui materiali”, che mi ha spinto ad attaccare allo zaino due ciaspole vintage in legno, che pesano la metà e occupano metà spazio rispetto a quelle moderne, e ad indossarle nella prima parte della discesa. Qui la neve non è battuta e con le sole scarpe ai piedi spesso e volentieri si sprofonda fino a metà gamba, rischiando anche qualche articolazione.
Dopo una breve risalita fra i prati, è il momento di buttarsi in picchiata verso Monno, lungo una forestale che i bikers immagino abbiano apprezzato moltissimo, quelli con gli sci molto meno. Con tutto quello che ti ci vuole per arrivarci, in fondo giureresti di esserti meritato un ristoro, ma neanche per sogno. Al bivio dove scegliere se impiegarci 2 ore o 2 ore e 50 fino a Malga Mola, dove il ristoro c’è davvero, la gara decide graziosamente di prendere la più lunga. Noi, che siamo atleti e atlete, ci mettiamo naturalmente parecchio (?) meno, ma la fatica da fare ricorda parecchio quella della gara estiva, che proprio sulla salita verso quella malga, anche se su un altro percorso, si gioca una delle sue carte più perfide.
Io ci arrivo ancora pimpante (funzionano, gli zuccherini, funzionano!) e sono in compagnia di due che da lì partiranno come i treni, e di uno che invece quasi si mette a piangere quando scopre di non essere ancora a metà percorso. Parto alle calcagna dei primi due mentre il terzo rimane seduto a guardare sconsolato la traccia sullo smartphone e non lo vedrò più.
Si scende un po’, poi si torna a salire, con pendenze gentili, ma su una neve che ad ogni passo sceglie random se tenerti su o farti sprofondare giusto un pelo, o mangiarti il piede. E i miei 83 kg non aiutano. Al ruspante ristoro di Baita Guspessa sono ancora incollato al secondo piè-veloce, ma duro poco e poi non vedrò più neanche lui. Del resto è tempo di godersi il motivo principale per cui sono venuto: la luna piena. Se non avete mai corso sulla neve, a 1.600 metri di altitudine, con cielo terso e una luna grande così che illumina a giorno tutto quello che avete intorno e l’Adamello dall’altra parte della valle, prima di appendere le scarpe al chiodo dovete venire a farvi un giro da queste parti.
Però meglio se ci venite piuttosto allenati o allenate, perché dopo la fantastica balconata al chiaro di luna vi aspetta una salita micidiale in mezzo al bosco, dove neanche il nostro pallido satellite può aiutarvi, che cederà il passo solo quando a prendervi in consegna sarà di nuovo la neve infida, dove sarete troppo pigri per rimettervi le ciaspole, e per un paio di chilometri rischierete caviglie a ginocchia.
Poi finalmente è ora del ristoro di Trivigno, e poi, molto poi, 18 km poi, molti in piano affacciati sulla Valtellina e sempre con quel po’ po’ di lampione sopra la testa, ma il sonno e i maledetti 10 kg di materiale obbligatorio nello zaino iniziano a farsi sentire, di quello del Mortirolo. Lì il calduccio e la bella compagnia ti fanno venire la tentazione di fermarti a tempo indeterminato, ma ormai manca davvero poco all’arrivo, e l’ultima salita per Malga Salina è proprio bella, e quando sei tornato ai 2.100 metri del punto più alto della gara, oltre alla madama pallida alle spalle, ti trovi i colori dell’aurora davanti e pensi (ma in realtà lo stai già facendo da ore) che non vorresti essere in nessun altro posto al mondo.
Ed è quindi comprensibile che ti avvii per i quindici chilometri di discesa verso il traguardo di Vezza d’Oglio con un po’ troppo entusiasmo, e anche che quando sei in fondo e avvisti la chiesa e ti fanno tornare su e fare un giro dell’ostrega sul ”sentiero degli innamorati” (niente affatto romanticamente chiazzato di ghiaccio) prima di consegnarti a traguardo, ti girino un po’ le scatole.
Ma ormai sei troppo contento, di aver preso tutta quella luna, di essere così allenato da arrivare in fondo a 115 km tostissimi, di esserti meritato il quintale di pizzoccheri al pasta party finale, di essere lì in mezzo a quel piccolo mare di volontari, volontarie, atleti e atlete con l’orgoglio di essere stato all’altezza. E anche di aver dimostrato “scientificamente”, che gli zuccherini sono davvero La Soluzione.
CLASSIFICHE
110 km a piedi
Maschile
1° Augrit Pierre – 17:14
2° Nava Daniele – 20:10
3° Zubani Leonardo – 21:37
Femminile
1° Trentani Laura – 22:10
2° Fustini Alice – 25:17
3° Pé Graziana – 25:32
110 km sci
Maschile
1° Collé Franco – 15:19
2° Sorteni Andrea – 19:19
3° Compagnoni Gianni – 20:04
Femminile
1° Poretti Marta – 23:06
2° Passeri Patrizia – 24:48
110 km bici
Maschile
1° Fantoli Michele – 18:04
2° Bellantuoni Gianluigi – 25:56
40 km a piedi
Maschile
1° Carrara luca – 04:46
2° Ferrarini Giovanni – 05:26
3° Pagnussat Gilles – 05:31
Femminile
1° Bottanelli Paola – 06:10
2° Figini Katia Chiara – 06:25
3° Quadrelli Fiammetta – 06:55
40 km sci
Maschile
1° Occhi Martino – 05:23
2° Scanavin Enrico – 05:52
3° Maffesoli Christian – 05:58
Femminile
1° Turini Giudy – 05:52
2° Lazzarini Elisa – 09:23
2° Mazzarello Ilaria – 10:10
40 km bici
Maschile
1° Vaira Cristian – 05:02
2° Romano Gianluca – 05:53
3° Ottolini Marco – 08:23
40 km musher
Maschile
1° Giorgetti Marco – 05:47
2° Bassani Ruben – 06:23
3° Pedrolini Marco – 06:43
Femminile
1° Berardi Elisabetta – 08:26
2° Zampieron Ylenia – 08:51
3° Artaz Claudia Elisabetta – 09:57